Le cronache di Rishidd


Replying to Capitolo 2

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  1. Posted 16/10/2014, 12:49
    La strada per il ritorno a casa fu molto più breve rispetto a quella di andata. Il mercato si era liberato di più di una dozzina di persone e il sole era a un terzo dallo zenit. Ad attendere Rish sull’ uscio della porta c’era Emmal, il suo Precettore.
    La giovane ragazza dai biondi capelli e il naso all’ insù lo schernì con una mano e, con un vistoso saluto, disse: -Che bella cera abbiamo oggi signorino, hai di nuovo fatto lo spaccone con i tuoi amichetti ieri sera?-
    -Avrei preferito non farlo- squittì Rish con un accenno di finto senso di colpa.
    -Il tempo non aspetta e il tempo è denaro! Su, iniziamo prima che ti venga la strana idea di oziare con qualche conversazione-. Gli occhi di Emmal passarono dall’essere vispi e dolci all’essere freddi e duri, una perfetta insegnante per un giovane come Rish. Emmal aveva ricoperto per lui, fin dai primi anni di nascita, il ruolo che dovrebbe avere una madre per un figlio. Da sempre Precettore per i membri della famiglia Scio aveva già insegnato al fratello con ottimi risultati, portandolo a solo un passo dal diventare il nuovo Reggente di Famiglia. Ora Emmal aveva il compito di istruire Rish, curando le sue ginocchia sbucciate e preparandolo a un apprendistato sotto un vir-thì di grado più alto.

    Attraversarono il giardino a grandi solchi finché, raggiunta una lussureggiante e verde radura, Emmal potè dare inizio alla lezione. Con un cenno indicò a Rish di prepararsi. Lui si raccolse i capelli in una coda, li fissò con un codino e dopo essersi sfilato la cappa grigia la maglia iniziò ad eseguire il kateat . Durante la terza posizione uno sbuffo di vento lo spinse durante l’unico momento di equilibrio precario facendolo ruzzolare per terra.
    -Hai sbagliato durante la terza posizione, sai che vuol dire questo, juv-thì Rishidd Scio?-
    -Che dovrò ripetere nove volte il kateat, vir-thì Emmal-
    Passate più di due ore Rish era madido di sudore e i suoi muscoli stanchi per il troppo allenamento risaltavano sulla sua carnagione chiara. -Diventerà un bell’uomo- pensò Emmal mentre lo guardava asciugare la patina gocciolante di sudore dalla fronte.
    -Ora, cinquanta piegamenti ! Adesso!- Comandò Emmal
    Non appena Rish fece il primo piegamento ancora stanco per lo sforzo precedente Emmal cominciò con qualcosa che aveva un che di rituale:
    -Cosa vuoi diventare?-
    -Un vir-thì- rispose Rish recitando a memoria.
    -Perchè?-
    -Per perseguire la conoscenza-
    -Qual’è l’arma più potente di un vir-thì?-
    -Il suo acume, che battuto e lavorato, senza essere spezzato, porta a potere.-

    Finito il rituale si dedicarono alla sessione di apprendimento vera e propria. Emmal chiese a Rish ogni legge di alchimia della materia, alchimia del composto e di transposizione energetica. Dopo aver discusso a grandi linee delle tre arti principali passarono a domande più dettagliate ed a altre sotto arti come la fisica, la scienza del volo, l’alchimia d’acqua, chimica e filosofia.
    Ed è proprio durante la discussione filosofica sulla teoria umanitaria della cupola che Emmal interruppe Rish e annunciò sorridendo di nuovo in modo cordiale : -Ho una bella notizia per te. Sei pronto per l’esame di apprendistato. Hai una rotazione solare, una stagione, un ciclo e un giorno per affinare le tue tecniche da solo prima di sostenere l’esame. Ovviamente io, da buon Precettore, ogni due cicli verrò da te a controllare il tuo operato e sarò sempre disponibile a bere una birra con il mio alunno preferito-
    -Sembra da ormai una vita che studio con te, o mio Precettore, ma l’apprendistato sembrava ancora troppo lontano. Sei davvero sicura che io sia pronto? Hai già qualche idea su chi sarà il mio prossimo insegnante?- rispose Rish con un pizzico troppo grande di ironia e paura celata nella sua voce.
    -Ora non ti crucciare troppo, prenditi un po’ di vacanze, viaggia, studia e divertiti, ma soprattutto pensa a cosa vorrai diventare dopo, hai pur sempre bisogno di vivere, vero?-
    La voce di Emmal aveva un che di soave e dolce, come se tentasse di infondere fiducia nel cuore preoccupato di Rishidd. Era una voce materna.
    -E va bene Emmal-, rispose lui con un tenero sorriso e dell’ affetto nella sua voce.
    I due si abbracciarono e gli sussurrò -Cerca solo di non metterti nei casini come sempre! Ricorda che hai una propensione quasi spontanea per il metterti nella merda.-

    Erano quasi le due del pomeriggio quando Rish si svegliò. Era il primo giorno che aveva il pomeriggio libero, non impegnato con le lezioni di Emmal.
    Si esercitò per un po' con il suo violino elettrico. Le sue note risuonavano fredde e spaventate all'interno della villa vuota. Suonò di grandi battaglie, suonò di amori persi e di re che perdevano i loro regni a causa di un figlio illegittimo. In fine suonò qualcosa di più profondo. Suonò il suo lato nascosto, la sua rabbia, la sua cattiveria, la sua solitudine. Mentre suonava quelle note anche il sole sembrò spegnersi un po' per lasciare spazio a quel lamento così virtuoso.
    Appena ebbe finito di suonare prese il suo SIR e, segnandoci sopra qualche semplice runa inviò un messaggio a Sebak, chiedendogli di incontrarsi al violinista pazzo, come quasi ogni pomeriggio. Prese il suo violino elettrico, la sua sacca, si vestì con la sua cappa grigia e uscì di casa verso la sua taverna di fiducia.

    La strada fu più breve del solito, camminò per il quartiere borghese ove si sentivano i soliti cori di uomini brilli alla fine di un banchetto, attraversò l'agorà, tra gli urli dei pochi mercanti rimasti e quelli dei saltimbanchi che invitavano le poche persone rimaste al circo. Scivolò nel vicoletto come se volesse scappare da quel trambusto e si sedette ai tavolini esterni del Violinista Pazzo. Ad aspettarlo c'era un suo amico, uno tra i più cari. Era Sebak.

    Un ibrido della famiglia Crono, mezzo uomo e mezzo ippopotamoè stato, da sempre, vicino a Rish. Aveva appena completato gli studi all'accademia di Cronismo. Anche lui si preparava a un apprendistato sotto una casa editrice di un giornale, il Mondo giornaliero. - Voglio far conoscere alle persone stupide che viviamo in un mondo di persone stupide - diceva sempre.

    -Ehilà, stronzo-, gridò Sebak con un sorriso che scopriva e faceva luccicare al caldo sole pomeridiano molti dei suoi piatti denti da ibrido ippopotamo. -Sulla Rete mi hai accennato una grande notizia, sei di nuovo nella merda?-
    -Tranquillo Seb, nessuna merda se non quella che hai in faccia- Rispose Rish sorridendo innocentemente. Picchiettò con un dito sul suo violino elettrico e disse - Oggi si festeggia, offro io. Ma prima di tutto un caffè e un po’ di tabacco. Oggi Emmal mi ha fatto sudare anche l’anima, sempre che esista per davvero-. I due entrarono nella familiare taverna e dopo aver salutato Crow e i clienti abituali ordinarono una tazza di caffè per uno e degli ottimi biscotti fatti in casa e si sedettero al loro solito posto, un tavolino nero dietro a uno scaffale pieno di libri di ogni genere e argomento contornato da divanetti e poltroncine di fresca pelle tinta di rosso.
    -Allora Rish? La grande notizia?-
    -Ti sembra che io abbia finito il caffè?- Rispose a Sebak con tono sarcastico di sfida, molto usato fra amici di vecchia data.
    -Sbrigati, lurida puttana di basso borgo, scrivo dalle cinque di questa mattina, sono stanco.-
    -E va bene- rispose Rishidd finendo di bere il caldo liquido nero all’interno di una tazzina di vetro smerigliato. Si alzò in piedi e, guardandosi alla moltitudine di specchi rotondi della grandezza di un piede e mezzo posti dietro di lui, si ravviò i capelli e, con un teatrale gesto di mano, si spostò la cappa facendola guizzare come mossa dal vento e con un inchino disse -Sebak Crono, appartenete alla famiglia Crono, da sempre docenti e ottimi scrittori, ho l’onore di presentarti il “Quasi vir-thì” Rishidd Scio-
    -Membro del mio membro- disse Sebak con tono sarcastico. -Vuol dire che adesso non ti vedrò più? Chi giocherà con me a scacchi?- Calcò le ultime parole con forzata ironia, quasi come se volesse nascondere una punta di dispiacere.
    -Non starò via molto, o comunque tornerò spesso a fare visita. Non posso abbandonare i miei amici, che fine farebbero senza di me nelle risse da strada?- rispose il “Quasi vir-thì”.
    -Hai più o meno idea di chi ti farà da Precettore per l’apprendistato?- Chiese l’ibrido.
    -Non ne ho la più pallida idea, è una sorpresa dice Emmal. Spero solo non sia quel vecchio con la barba bianca e la tunica grigia. Com’è che si chiama? Gandolf? Fandalg?-.

    Finita la breve discussione si sedettero ai tavolini esterni del Violinista Pazzo. Il caldo sole di una giornata primaverile ormai stava per tramontare per lasciare spazio alle due enormi lune, una bianca e una rossa.
    Dopo manco una dozzina di minuti finalmente arrivò Justred. -Heì, pezzi di sterco!- Gridò la figura dai capelli rossi, lunghi e ricci.
    -Finalmente sei arrivato, ti ricorderai mai che vuol dire puntualità?- Risposero i due amici quasi all’unisono.

    Justred era un loro caro amico, famoso per tutta la cupola per le sue doti canore e i suoi virtuosismi al basso elettrico era più grande di Rish di una mezza dozzina di anni e di Sebak di tre. Si avvicinò anche lui e togliendosi di testa un berretto rosso scuro mostrò due piccole corna d’avorio e una cicatrice a forma di pentacolo. Parlarono del più e del meno e giocarono a scacchi fino all’ ottava campana.
    Finita l’ultima partita l’ibrido e il garruk ordinarono da bere e Rish si avvicinò al bancone a grandi passi. -Finalmente è arrivata l’ora della tua esibizione?- disse Crow mentre armeggiava con bottiglie di vetro contenenti forti liquori di colori accesi. -Beh, la sala si è riempita un po’ e la gente vuole iniziare a bere e ad ascoltare buona musica. Che ne pensi?- Rispose Rishidd mettendo in mostra il suo violino affiché tutti potessero vederlo.
    -E va bene, la tua folla ti aspetta, ma non mandare tutto a puttane per una ragazza questa volta.-
    -Stai tranquillo Crow, oggi vi presento un nuovo pezzo perciò offrirai da bere. E no, questa volta un bel visino non mi distrarrà.-

    Rish salì sulla piccola panca al centro dei tavolini interni che fungeva da palco. Fu accolto da un battito di mani e da un picchiettare nervoso di boccali e piedi.
    Si rilassò, si schiarì la voce, accordò il violino nero come la notte e iniziò a suonare. Iniziò con una strimpellata, poi con un accordo maggiore e con uno minore, poi la melodia iniziò a prendere forma. La sua voce da tenore risuonava nell’aria come se fosse un invito ad entrare nella taverna a bere e scherzare. L’eccitazione di tutti si spense in un silenzio rispettoso ed eccitato.
    -S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo;
    s'i fosse vento, lo tempestarei;
    s'i fosse acqua, i' l'annegherei;
    s'i fosse Dio, mandereil' en profondo;
    s'i fosse papa, allor serei giocondo,
    ché tutti cristiani imbrigarei;
    s'i fosse 'mperator, ben lo farei;
    a tutti tagliarei lo capo a tondo.
    S'i fosse morte, andarei a mi' padre;
    s'i fosse vita, non starei con lui;
    similemente faria da mi' madre.
    Si fosse Rish com'i' sono e fui,
    torrei le donne giovani e leggiadre:
    le zoppe e vecchie lasserei altrui.-

    Finito di cantare Rish aprì gli occhi e vide perfettamente il bianco dei denti di ogni persona seduta nella taverna. Anche con le luci soffuse sapeva che, grazie a quel lungo e spontaneo sorriso generale, se solo avesse voluto avrebbe potuto contare le carie di tutti i presenti in sala. Un momento dopo il sorriso svanì in un sogghigno, pieno di gusto e cinismo. Un fragoroso battere di mani percosse la sala e Crow corse verso Rish a portargli la sua pinta di birra. Brindarono tutti al fuoco, al vento e all’acqua. Rish non sapeva che sarebbe riuscito davvero a bruciare, tempestare e annegare il mondo.

    Intanto i due amici, durante l’esibizione si erano seduti in fondo alla sala a godersi il piacevole spettacolo. Rish li raggiunse e ordinarono da bere. Iniziarono a giocare a Backgammon e prima che se ne potessero accorgere erano già meno lucidi di quanto potessero credere e giurare. Rish ordinò il quarto bicichere di un forte whisky chiamato GiacomoDaniele, Seb il quinto biccihere di sidro di uva e Red il terzo bicchiere di latte di meretrice. Gli animi infuocati pretendevano un po’ di fresca aria notturna per raffreddarsi e la voglia di fumare un po’ di tabacco sicuramente aiutò i tre amici a svegliarsi un po’.

    Le ore passavano e gradualmente, in modo quasi impercettibile, le strade si svuotavano e si scurivano e le taverne e i locali si accendevano con variopinte luci e si infuocavano con discussioni di ogni genere, sicuramente non molto sobrie. Come il giorno segue la notte, mentre gli uomini di buon affare erano già nei propri giacigli a riposare le membra stanche i delinquenti emergevano a galla, respirando aria fresca e bevendo vino caldo. Pian piano le cortigiane, gli bancheri e i governanti lasciarono spazio a meretrici, strozzini e ladri. A Rish non disturbava ne il cambiamento ne il farne parte. -Preferisco farmi derubare da un tipo con un lungo mantello nero e con un cappuccio calato giù fino agli occhi che da un tipo con una camicia bianca e con una valigetta piena di scartoffie. - Pensò.
    Rish aveva quasi sempre il borsellino pieno. Aveva decriptato il codice di scambio monetario
    della sua famiglia e nella sua carta collegata alla rete apparivano, giorno per giorno, regali di lontani zii e misteriosi ritrovamenti nella vila di famiglia. Ma a volte preferiva guadagnare i suoi soldi in modi più diretti e meno legali e leciti. Era un famoso campione di backgammon, un ottimo scommettitore e un lottatore arcano quasi provetto. Da un po’ di sere a quella parte i soliti sfidanti non si erano presentati con una plancia da gioco al tavolo di Rish. Riusciva in un modo o nell’altro a vincere. A volte stracciando i suoi avversari con tattiche degne di un condottiero militare e a volte per pura e casuale fortuna. Quindi i suoi sfidanti, stanchi di perdere monete su monete, smisero di sfidarlo. Solo rare volte qualcuno era abbastanza ubriaco e pieno di se da farlo ma vedeva presto scivolare via dalle sue mani e dal piatto le puntate per entrare nelle tasche già gonfie di Rish e abbandonava subito il tavolo.

    Un uomo si avvicinò schivo al tavolo dei tre amici mentre erano impegnati in una discussione su chi avesse la precedenza su una donna dal prosperoso seno seduta vicino al bancone intenta a degustare un ottimo vino rosso e a parlare con Crow. Il losco figuro si avvicinò a Rish e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. La mente poco sobria del giovane ci mise un po’ a capire che lingua fosse e passando dall’ idioma corrente un fluido mirau rispose -sigh ne uv chal?-
    L’uomo annui e si andò a sedere ad un tavolino libero non molto distante dal suo.
    -Che cazzo ha detto? Era qualcosa su mia madre?- chiese Justred con le gote arrossate e il sorriso allargato dal liquore.
    -Smettila di bere per oggi, non vorrai mica sperperare tutti i miei averi!?- rispose Rish togliendogli di mano il bicchiere e finendo il suo contenuto dal rosso acceso. -E no, non ha insultato quella brava donnina di tua madre, mi ha chiesto in mirau se avevo voglia di giocare a re nero. Non ho idea di chi sia, non porta segni distintivi ma mi è sembrato di vedere, sotto al suo mantello la sagoma di una spada corta. Lo spenno un po’ e torno.-
    -Ho un brutto presentimento- disse Sebak distogliendo lo sguardo incantato dal seno di quella donna -Solo, sta attento, non hai ancora pagato il conto di oggi-. E con un sorriso fiducioso congedò Rish con un cenno di mano troppo vistoso.
    Il ragazzo si alzò e si andò a sedere innanzi all’uomo dalla carnagione chiara e gli occhi infossati che l’aveva invitato a giocare. Cacciò da una delle tasche nascoste all’interno della sua cappa grigia un paio di dadi in avorio finemente decorati. -mist nev sh Rishidd, se karmul tev?- Disse Rish, con un sorriso palesemente falso, usato solo per cortesia, cercando di soppesare ogni parola per non sembrare troppo ubriaco.
    -Valt sem shid vhea.- Rispose l’uomo con un espressione vacua. Quindi si tolse un fine guanto nero dalla mano sinistra, scoprendo una mano riccamente tatuata da intricati simboli alchemici. Un sorriso diabolico illuminò gli occhi di Rishidd. Non sembrava del tutto umano. Forse sentì anche una vocina che gli chiedeva di scappare, lo supplicava e bestemmiava ma era sovrastata da un’ altra voce che urlando diceva -Gioca-. Capì subito che tipo di persona aveva davanti. Non giocavano più al semplice gioco d’azzardo chiamato re nero, ma a una sua versione più contorta e diabolica. Il gioco consisteva nel tirare i dadi, cercando di totalizzare un punteggio più vicino possibile a ventuno, senza superarlo. Ovviamente chi vinceva prendeva la vincita posta sul piatto prima di inizare a lanciare. Ma, tra gli arcanisti e alchimisti più o meno esperti il gioco consisteva nel barare, usando più tecniche possibili, una più diversa dall’ altra senza però farlo notare agli spettatori, mascherando il tutto con mera fortuna. L’uomo appoggiò due grosse monete d’oro luccicanti e, senza preamboli, prese da un sacchetto due dadi e, con l’espressione vacua, lanciò con un lento colpo di mano per quattro volte, totalizzando diciannove. Rishidd si mascherò il volto scendendo in uno stato di apatia e cinismo, fece quattro respiri e prese i dadi. Tenendoli stretti in mano si concentrò un attimo e mosse le piccole particelle di avorio che componevano i dadi in modo da scaldare i dadi e appesantirne le facce che segnavano il due e l’uno. Quindi lanciò. I dadi si mossero con movimenti più che naturali e si posizionarono sul banco e diedero come risultato cinque e sei. Dopo altri due tiri totalizzo un re nero, il ventuno. Continuò a lanciare modulando il calore, l’aria attorno a essi, trasmutando del mercurio attorno ad essi, creando illusioni planari e affidandosi alla sorte. Anche il suo avversario giocò più che bene, usando, a volte, tecniche sonosciute. -Da dove viene? Chi è? Come mai è qui?- erano le uniche domande che turbinavano in quel momento nella testa di Rishidd, annebbiata dai fumi alcool e di erbe secche.

    Durante una delle puntate più alte, mentre la gente era paralizzata dall’ottima giocata dell’uomo con profonde occhiaie, Rish si fece scappare un lampo di calore dalla mano. Lui intontito e stanco per lo sforzo mentale si accorse solo dopo una manciata di secondi che la gente mormorava e lo fissava attonita. Dopo un po’ tra la folla si udirono voci di vecchi avversari che, soggiogati in passato, inveivano contro il giovane Rishidd. Piano piano, scintilla dopo scintilla, i cuori già annacquati da birra e liquore si incendiarono e spinsero gli spettatori ad alzare i pugni contro Rish e a maledire lui ed i suoi defunti. Una rissa era nell’aria. I più coraggiosi si avvicinarono e iniziarono a spintonarsi fra loro e ad urtare Rish.
    -Merda, sono fuori adesso, sono nella merda fino al collo, in un mare di merda. Cosa penserebbe Pluma di me?-

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