Le cronache di Rishidd


Replying to CAPITOLO 3

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  1. Posted 22/12/2014, 13:49
    -Ti avevo avvisato, brutto bastardo, via con bubu!- Urlò frenetico Sebak, facendosi strada fra la folla ubriaca e arcignia. Raccolse Justred e, porgendogli il braccio, si dileguarono tra la massa.
    A Rishidd, rimasto solo, venne subito in mente di correre via come un cucciolo di coniglio, ma, essendo al centro dell’attenzione, l’unica cosa che gli rimaneva da fare era quella di prendere parte alla rissa. Non era la prima rissa da bar a cui partecipava e di solito se la cavava solo con qualche nocchia sbucciata e un livido ma, questa volta, l’attenzione rivolta solo ed esclusivamente su di lui. Per un momento vide il tipo con cui aveva giocato sussurrare qualcosa a un uomo vestito di blu e verde, ma dopo scomparve, quasi veloce come un fulmine.
    -Spero siano abbastanza ubriachi da credere alla mia recita da quattro soldi- pensò. Tirò un pugno a un uomo che si avvicinava a lui minaccioso, schivò una bottiglia con molta fortuna che andò in frantumi contro una testa e , con un balzo degno di un ubriaco, saltò su una panca. Urlò frenetico e in preda al panico sette rune del vento e, legando le masse d’aria alle sue braccia e traendo energia da una persona accasciata sotto di lui, alzò una tromba d’aria che per un momento scosse tutti i presenti. Fermata la raffica di vento si accorse che le persone lo fissavano ammutolite e spaesate. Colpì con altre raffiche di vento i pochi uomini che erano a conoscenza del trucco usato e che continuavano a muoversi verso di lui e, subito dopo concentrò una massa di luce dietro le sue spalle, plasmandole a forma di ali.
    Anche se il suo forte ego rimaneva ricolmo di energia potenziale la sua mente annebbiata dai fumi dell’ alcool gli rese difficile spiccare il volo. Saltò dalla panca e balzando dal muro adiacente si aggrappò all’ inferriata di una balconata al primo piano di una palazzina e con un ulteriore sforzo mentale e una grande spinta mormorò -Svi librare ariae- . La formula non funzionò e cadde su un uomo che gli puntava contro il dito. Si ritrovò di nuovo in mezzo alla mischia. -Svi librare ariae- disse con voce ferma e autoritaria. Tirò un calcio all’uomo che lo additava con aria minacciosa per allontanarlo e tentò di nuovo. -Svi librare ariae!- tuonò, -Io, Rishidd Scio te lo impongo, Svi librare ariae!-. Esitò per un momento e poi saltò.

    Spinto dalla forza di quella luce plasmata a forma di ali volò fino ad un tetto, a lui molto familiare. Le luci di NewUtopia facevano sembrare alla mente ubriaca di Rish il suolo cittadino un cielo trapunto di stelle, quasi una visione rilassante. Forse una delle poche cose che placavano Rishidd. Ormai strenuato dallo sforzo appena fatto si sedette sul pergolato poggiando la schiena contro la fine di un caminetto spento e, ansimando e sudando freddo, prese la sua pipa e iniziò a fumare.

    Non ci volle molto prima che qualcuo individuasse il fumo prodotto dalla sua pipa. Subito una figura nera, snella e alata si mosse nell’oscurità. Rish non si spaventò, anzi, sembrò sollevato. La figura nera spiccò il volo e atterrò silenziosa sull’apice del camino ove Rishidd poggiava la schiena. Una grossa zampa uncinata di colore arancione acceso si posò delicatamente sulla spalla di Rishidd. -Ho sentito un gran trambusto nella parte bassa della cupola, sono sicura che tu c’entri qualcosa- Gracchiò Pluma con voce gentile e preoccupata.
    Pluma Castiel era da sempre una delle poche persone con cui Rish riusciva a rilassarsi fino in fondo. Discendente dalla Progenie del Cielo, Pluma, era una piccola arpia a cui Rishidd aveva curato un ala, ferita in seguito ad uno scontro con un bracconiere all’esterno della cupola di NewUtopia. Avevano stretto subito un forte legame, come quello che c’è fra fratello e sorella. Pluma era ossessiva, rimuginava troppo e per lei tutto, dai suoi studi di medicina a una nuova relazione sentimentale, era un problema. Spesso lei trovava rifugio nelle dolci note del violino di Rish. E spesso Rish trovava rifugio nelle dolci parole di Pluma.

    -Lo ammetto, ho combinato un bel casino- Rispose Rishidd in tono ironico.
    Mentre raccontava l’accaduto il suo sguardo vagava per il finto cielo buio della cupola, sperava di riuscire a vedere oltre. Cercava qualcosa. Era il momento di partire e di iniziare a seguire il vento.

    “Smettila di pensare che sia tutto un sogno, sono dentro la tua testa”.
    Con questa frase in mente, Rishidd aprì gli occhi cisposi e la bocca secca e si alzò dal letto. Con lenta e finta noncuranza si fece una doccia calda e si vestì. Una camicia leggera, nera come la notte, dei lunghi pantaloni da viaggio grigi come una nuvola prima di un temporale e un paio di comodi stivali da viaggio in pelle di Mannemark. Riempì la sua borsa da viaggio con un libro vuoto dalla copertina di pelle morbida, con un pugnale di bronzo grezzo e un guanto da lavoro. Salutò i suoi congegni a vapore che fungevano da servitù e mangiò una mela. Intonò una nota fischiettando e sulla sua spalla si posò un piccolo uccello fatto di bronzo, gli diede un colpo sul becco e questo si trasformò in un orologio da taschino, le 6.20 di mattina. Si allaccio la sua cappa da viaggio sulla spalla sinistra, prese la spada che gli aveva regalato Emmal, la estrasse e sibilò il suo nome -Fulde-, la spada rispose con un sibilo. La rinfoderò e l’allacciò alla cintura. infine prese il suo violino elettrico, strimpellò la prima corda facendo risuonare per la mansione vuota un acutissimo e intonatissimo mi.Lo ripose nella sua custodia laccata di nero e se lo adagiò sulla spalla, accarezzandolo come un bambino. Si sistemo sotto la spalla una bandoliera di coltelli da lancio. Era pronto per partire. Con una lentezza quasi rituale uscì di casa. L’aria di una piacevolissima domenica mattina, l’aria di un’ inverno che sta per lasciare la cupola di NewUtopia per aprire le porte a una dolce e cantilenante primavera. -Non devo farlo per forza, posso vivere nella mia casa aspettando che si quietino le acque- pensò per un istante, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito, avrebbe preferito morire che rimanere segregato, quasi imprigionato nella vuota casa. Girò con tre mandate il chiavistello della grande porta a vetri e come sempre scavalcò un po’ barcollante il cancelletto. L’aria era pregna di sogni della gente che via via andavano a sfumarsi con la realtà e si confondevano con le lenzuola, il mobilio e le mura di casa. Rish poteva sentirne il suo profumo nell’aria. C’erano di sogni belli e di sogni brutti, sentì una manciata di sogni preoccupati. Il sogno di un demone che al posto del cuore ha un pasticcino, il sogno di un ippopotamo troppo fiero per essere buono e il sogno di un uccello, che promette di non volare finchè non avrebbe rivisto il proprio amico.

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